«Così chiunque crede in lui non morirà, ma avrà la vita eterna»
San Giovanni Paolo II (1920-2005), papa - Lettera enciclica « Dives in misericordia », § 7 (© Libreria Editrice Vaticana)
Che cosa dunque ci dice la croce di Cristo, che è, in un certo senso, l'ultima parola del suo messaggio e della sua missione messianica? Eppure, questa non è ancora l'ultima parola del Dio dell'alleanza: essa sarà pronunciata in quell'alba, quando prima le donne e poi gli apostoli, venuti al sepolcro di Cristo crocifisso, vedranno la tomba vuota e sentiranno per la prima volta l'annuncio: «È risorto». Essi lo ripeteranno agli altri e saranno testimoni del Cristo risorto.
Tuttavia, anche in questa glorificazione del Figlio di Dio, continua ad esser presente la croce, la quale - attraverso tutta la testimonianza messianica dell'Uomo-Figlio, che su di essa ha subito la morte - parla e non cessa mai di parlare di Dio-Padre, che è assolutamente fedele al suo eterno amore verso l'uomo, poiché «ha tanto amato il mondo - quindi l'uomo nel mondo - da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna».
Credere nel Figlio crocifisso significa «vedere il Padre» (Gv 14,9), significa credere che l'amore è presente nel mondo e che questo amore è più potente di ogni genere di male in cui l'uomo, l'umanità, il mondo sono coinvolti. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. Questa infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome e, al tempo stesso, è il modo specifico della sua rivelazione ed attuazione nei confronti della realtà del male che è nel mondo, che tocca e assedia l'uomo, che si insinua anche nel suo cuore e può farlo «perire nella Geenna» (Mt 10,28).