Sant'Antonio Abate

Benedizione degli animali - 12 gennaio 2020

Nel segno di un’antica tradizione si è rinnovata anche quest’anno la benedizione degli animali in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, celebrata nella chiesa di Bannone domenica 12 gennaio.
Alla Santa Messa delle 10.15 hanno partecipato numerosi fedeli con i loro animali da affezione, quali cani, gatti, criceti, mentre nel prato antistante la chiesa c’erano un gregge, asinelli, cavalli e i rapaci del Sig. Cavozza. Una vera arca di Noè.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sant'Antonio è considerato anche il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale che reca al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del santo.

La tradizione di benedire gli animali (in particolare i maiali) non è legata direttamente a sant'Antonio: nasce nel Medioevo in terra tedesca, quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale da destinare all'ospedale, dove prestavano il loro servizio i monaci di sant'Antonio.

A partire dall'XI secolo gli abitanti delle città si lamentavano della presenza di maiali che pascolavano liberamente nelle vie e i Comuni s'incaricarono allora di vietarne la circolazione ma fatta sempre salva l'integrità fisica dei suini «di proprietà degli Antoniani, che ne ricavavano cibo per i malati (si capirà poi che per guarire bastava mangiare carne anziché segale), balsami per le piaghe, nonché sostentamento economico. Maiali, dunque, che via via acquisiscono un'aura di sacralità e guai a chi dovesse rubarne uno, perché Antonio si sarebbe vendicato colpendo con la malattia, anziché guarirla.»

Secondo una leggenda del Veneto (dove viene chiamato San Bovo o San Bò, da non confondere con l'omonimo santo) e dell'Emilia, la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio e si racconta di un contadino che, preso dalla curiosità di sentire le mucche parlare, morì per la paura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La tradizione popolare in Italia

A Roccaspinalveti in Abruzzo persiste un'antica tradizione popolare che si rinnova il sedici gennaio di ogni anno, vigilia della ricorrenza della festività di Sant'Antonio abate. Un gruppo di persone con organetti, mandolini, chitarre, tamburelli e strumenti artigianali della tradizione popolare (lu du bott, lu cupa cupa...), gira per le vie del paese, facendo visita alle famiglie del posto, per cantare "lu sant'Antonie": una lunga stornellata che racconta la storia del grande abate. Vengono enfatizzate soprattutto le lotte che dovette sostenere contro il demonio, proprio per questo un membro del gruppo è travestito da esso, nonché viene narrata in breve la storia del Santo. Alla fine del canto ai membri del gruppo viene offerta salsiccia, un salame locale a base di carne di maiale insaccata, e vino, tutto rigorosamente fatto in casa, dalle famiglie ospitanti. Di queste famiglie, nonostante l'ora tarda, molte non si perdono lo spettacolo ed escono a cantare insieme, incuranti delle rigide temperature.

A Serracapriola, paese della Puglia al confine con il Molise, è ancora viva la tradizione di "portare" il "Sènt'Endòn", cioè di girare per abitazioni e attività commerciali, suonando oltre a fisarmoniche, mandolini e chitarre, anche strumenti tipici della tradizione paesana (i Sciscèlè, u' Bbùchet-e-bbùchet, u' Ccèrin, a Scescelère, u Corne, u Picch-pacch, i Troccèlè) e cantando in vernacolo, canti dedicati al Santo, inneggianti al riso, al ballo e ai prodotti derivati dalla lavorazione del maiale, quali mezzi per trascorrere i giorni del Carnevale all'insegna del mangiare, bere e divertirsi visto che dal giorno successivo al Martedì Grasso incomincia la Quaresima, tempo dedicato alla preghiera, al digiuno e all'espiazione dei peccati; a capo della comitiva c'è un volontario vestito da frate a simboleggiare il Santo che, con la propria "forcinella" (lunga asta terminante a forcina), raccoglie dolci e soprattutto salumi, che vengono donati per ingraziarsi i favori del Santo. Merito di aver importato questa tradizione squisitamente molisana, probabilmente nel 1927, dalla vicina Termoli, spetta a Ennio Giacci e ancor più a Guido Petti, autore quest'ultimo di musica e versi di svariate canzoni e in dialetto e in italiano, che annualmente vengono riproposte durante questa festa. Altri componimenti si devono al M° Luigi Tronco, autore di numerose melodie e testi anche in vernacolo serrano. Questi canti popolari esprimono la semplicità di un popolo in festa che sente il bisogno, il più delle volte sopito, di essere un'anima sola nella letizia, ma che al contempo spera, pur nella sofferenza. La viva voce e il suono degli strumenti, non alterato dal frastuono degli altoparlanti, riportano a tempi ormai lontani in cui la melodia all'italiana e ancor più quella dialettale, era di casa. Qualche giorno dopo, un lauto banchetto preparato con le offerte, dove prevale ogni sorta di insaccati ricavati dal maiale appena ammazzato, completa la festa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A Barni, paese della provincia di Como, è usanza festeggiare il Santo con un incanto. I fedeli, nei giorni che precedono il 17 gennaio si recano nella chiesa principale del paese dove vi è una cappella laterale dedicata a Sant'Antonio. Qui, vengono appoggiati i doni per il Santo (generalmente generi alimentari locali come salami, verdura, frutta, formaggi, ma anche prodotti artigianali e animali vivi come galline, conigli, ecc.). Il 17 gennaio poi, dopo la Santa messa della mattina i beni regalati vengono venduti all'asta sul sagrato della chiesa e il ricavato è devoluto alla Parrocchia. Tradizione ancora più antica associava all'incanto il "Falò di Sant'Antonio". Dal 2016, il tradizionale incanto è stato affiancato alla benedizione del sale per gli animali e dei mezzi agricoli.

Il più grande falò in onore di Sant'Antonio Abate viene realizzato a Novoli. Il falò, conosciuto col nome di "Fòcara", è attualmente realizzato in tralci di vite, e può superare l'altezza di 25 metri con una base di 20 metri di diametro. La vigilia della festa, il 16 gennaio, la Fòcara viene incendiata con un magnifico spettacolo di fuochi d'artificio che illuminano a giorno il cielo novolese. L'evento, conosciuto in tutta la Puglia, attrae migliaia di spettatori da tutto il sud d'Italia ed è stato oggetto anche di un documentario del National Geographic. Di anno in anno i costruttori della "fòcara" s'impegnano a variarne la forma, dotandola a volte di un varco centrale, "la galleria", attraverso cui sfila la processione con la statua e le reliquie del santo.. La fòcara è formata da almeno 90.000 fascine, e le fasi di costruzione iniziano già a metà dicembre e la si termina la mattina del 16 gennaio con la posa di una "bandiera" con l'effigie del santo, dando così il via ai festeggiamenti. Oltre l'accensione della Fòcara, la festa novolese appare particolarmente ricca di eventi civili e religiosi: alla tradizionale benedizione degli animali e alla processione del santo, si aggiungono le due rassegne pirotecniche diurna e serale, i concerti bandistici , le luminarie e i caroselli di palloni aereostatici, che incorniciano una delle feste più rilevanti del Sud Italia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Schilpario 2017

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