Le campane annunciano il miracolo
Sabato 20 giugno 1665, di prima mattina, le campane di Traversetolo iniziarono a suonare a festa: un miracolo era appena avvenuto all’interno della Chiesa, presso l’altare della Beata Vergine della Concezione.
L’entusiasmo si estese e la borgata fu in festa: Bernardino de Angeli era stato miracolato.
L’eco dell’evento si diffuse rapidamente giungendo anche alla sede vescovile a Parma che, per prudenza, istituì un Processo di verifica del miracolo. Ad ordinare che si svolgessero attente indagini fu il vescovo stesso, Carlo Nembrini che, tramite il Vicario Generale, don Carlo Cesarini, affidò l’incarico al Priore della Chiesa di Bannone: Giovanni Battista Caletti, Vicario Foraneo.
Il processo prese avvio il 30 giugno dello stesso anno ed il primo ad essere interrogato fu proprio il “miracolato” Bernardino de Angeli, un ragazzo di tredici anni figlio di Mastro Tomaso “Magnano” ossia stagnino e fabbro, di Traversetolo.
Il ragazzo, ammonito da don Caletti di dire la verità perché altrimenti Iddio lo castigherebbe severamente in questa vita e nell’altra come anche la giustizia del mondo, risponde senza incertezze narrando il fatto.
Alla prima domanda, se sia stato ammalato in precedenza, risponde di non aver sofferto prima di gravi disturbi, mentre la malattia che lo ha colpito nel gennaio 1665 lo ha costretto a letto per sei mesi. Conferma di essersi ammalato in montagna dove suo padre lo aveva mandato per riscuotere un credito di bottega; da quel tempo è rimasto a letto fino al venti di giugno.
Racconta di essere andato a Verzume, villa di Tizzano, e da Verzume, la sera, ad alloggiare a Tizzano; da qui poi a Pianestolla dove mi ammalai nell’osteria di Annibale Moretti, che credo fosse il quattro di gennaio di quest’anno e, andato in letto la sera mi sentii un poco di febbre accompagnati da certi dolori per la vita e l’ossa, fuori che le braccia e la testa, peggiorando di giorno in giorno, che mio padre mi fece vedere dal sig. Arciprete di Beduzzo, che credo mi giovasse assai, ma non mi liberò totalmente restando ancora perso dal mezzo in giù, strascinandomi le gambe di dietro come fanno i ragazzi piccoli, e lasciandomi colà mio padre, peggioravo ogni volta più, del che fattolo avvisare, tornò su e mi fece leggere sopra da un Prete di Corniglio, ma non mi giovò niente, sì che venne necessitato farmi portare a casa sopra due stanghe acconcie a modo si scala.
L’apprendere che il prete di Corniglio aveva praticato un esorcismo col “leggere sopra” ossia recitare salmo e orazioni sul malato, induce don Caletti ad approfondire l’argomento chiedendo se qualche persona gli avesse fatto del male.
No, che io sappia di certo, ben è vero che una certa donna di Pianestolla, mentre ero colà, mi diede certo locco (lòcch, gufo o altro rapace) da pigliare uccelli, e mi mise una mano sopra la testa e mi disse caro il mio figliolo, e dimandava di me continuamente a quelli dell’osteria, se bene non mi vedeva, né aveva pratica alcuna con me, del resto io non so poi se lei o altri mi possono aver nuociuto; ma non saprebbe rintracciare tale donna.
Una volta a casa – prosegue il racconto stetti malissimo, e sempre andai peggiorando. Mio padre fece venire qui a Traversetolo il sig. Rettore di Ciano a “leggermi sopra”, ma non migliorai, quindi mi condusse a san Martino (Chiesa di Ciano) da quel Rettore dove stetti quattordici o quindici giorni perché mi leggesse sopra, senza ottenere nessun miglioramento. Tornato a casa, mi misi a letto con dolori grandissimi e quando mi venivano a visitare persone ecclesiastiche, come il sig. Arciprete e altri sacerdoti, non potevo parlare in modo alcuno, ma, nell’entrare che facevano in casa gettavo un muggito in questo modo “ohi” e subito perdevo la voce e se qualcuno faceva cenno di toccarmi i piedi subito ne temevo lo spasimo e gridavo che non mi toccassero non mi toccassero.
Chiede allora don Caletti se conosce la malattia che lo ha afflitto e se sono state trovate intorno a lui “fatture”, o nel letto, o in altro luogo, di che qualità e quante volte. Signore io credo che fossi guasto o fatturato perché il Signor Rettore di Ciano disse a mio padre che facesse guardare nel letto, che sotto il piede della lettiera vi avrebbero trovato alcuni vermi o beghi, come in fatti vi si trovarono dall’Angela e dalla Maria sorelle degli Attolini, o siano degli Ogliari, e nel letto medesimo molte porcherie come terra, ingroppature (corde annodate) ed altre cose e a me stesso ne sono state messe al collo molte a forma di capestro, con il groppo corridore che mi facevano male grandissimo, come se affogassi anche gridando e muggiendo alla meglio che potevo venivano le genti e le toglievano dal collo, come la Barbara Fani, mio padre, messer Lorenzo Falaschi, Gio. Antonio Viapiana, Natale suo figliolo, la Giovanna sua madre, la Giacoma moglie di meser Domenico Guarnieri, Rinaldo suo figliolo, quali capestri per il più non si potevano snodare e sgruppare, ma appena si poteva metterci il coltello per tagliarli, oltre altre porcherie che mi mettevano sopra la faccia e per tutte le membra della vita, ed una volta una bazza (bacile) di terra imbonazzata (concimata), e i piedi, massime il calcagno non si potevano quasi distinguere e conossere dalle gambe, le volte poi sono state tante, che non me ne ricordo, e stavo nel letto immobile, essendo come morto dal mezzo in giù.
Come poi si è liberato da tanto male? Chiede don Caletti.
Il venerdì delli diciannove del corrente [mese] in circa l’ore quindici, viddi una donna bianca, mentre ero svegliato, quale mi disse, se volevo guarire, mi facessi portare il giorno seguente ch’era il sabato all’altare della Beata Vergine della Concezione di Traversetolo e che vi facessi dire ivi la messa, che saria guarito, e così lo dissi a mia madre quale il venerdì sera mandò a chiamare il sig. Arciprete e le disse il mio desiderio, non potendo parlare io per le fatture al medesimo signore Arciprete, e le fece dire quello che mi aveva detto quella donna bianca che colsi per la Madonna, ed esso sig. Arciprete mi fece dire che per la sua parte mi avrebbe consolato e l’avrebbe detta sabato mattina la messa all’Altare della Beata Vergine della Concezione posta nella sua Chiesa, dove mi feci portare sopra due stanghe a modo di scaletto o banna sopra la quale mi avevano anco portato di montagna e mi misero nella cappella della Madonna accosti il suo santo altare al quale disse messa il sig. Arciprete e nel punto che si levò l’Ostia, mi tornò dire quella donna che mandassi a pigliare i miei pagni perché mi voleva liberare, e così feci dire a mia madre che gli andasse a pigliare, e così tornata detta mia madre con li pagni, pregai che tutti si levassero di Chiesa fuori che lei, onde mediante l’aiuto della Beata Vergine mi vestii da me stesso, e aperta la Chiesa, e resa grazie alla Beata Vergine me ne andai a casa libero da ogni male, fuori che un poco di gonfiezza nei piedi che prima non potevo né muovermi nel letto né vestirmi o bagnare e neanche legiermente con una penna bagnata da olio benedetto, essendovi però prima che partissi di Chiesa cantate le litanie alla Beata Vergine e suonato da festa per allegrezza.
Don Caletti chiese poi il nome di coloro che lo avevano portato alla chiesa.
Bernardino rispose elencando i nomi: vi erano il sig. Carlo Pacchiani maestro di Traversetolo, Michele del fu Domenico Guarnieri, Gio. Paolo dall’Orto da Guardasone, il sig. Orazio figliolo del suddetto sig. Maestro e Andrea Giacopini.
L’interrogatorio terminò con la domanda se fosse stato visitato da qualche medico o cerusico.
Berardino rispose d’essere stato visitato dal medico di Montecchio e dal sig. Domenico Rubertelli, cerusico di San Polo: la diagnosi fu per entrambe che non era male da curarsi da loro, stando che non procedeva da cause naturali.
Lo stesso giorno, don Caletti convocò in esame don Silvestro Canossa, Arciprete della Pieve di San Martino di Traversetolo chiedendogli di narrare il caso del fatto miracoloso o grazia avvenuto nella sua chiesa.
Don Canossa risponde d’essere stato chiamato il venerdì del 19 di Giugno da Maria madre di Bernardino e moglie di mastro Tomaso de Angeli, perché Bernardino le aveva detto che gli era apparsa in visione una donna vestita di bianco in forma della Madonna. Questa donna aveva annunciato che se lui si fosse fatto portare alla Chiesa, davanti al suo altare sarebbe ritornato libero dal male che da tanto tempo l’opprimeva e travagliava. “Io le risposi prosegue don Canossa che molto volentieri me ne contentavo e con tal occasione mi lasciai anche vedere dal medesimo Bernardino e le domandai s’era vero quello che mi aveva detto per sua parte e commissione la madre, e mi accennò con la testa che sì, stando che non poteva parlare mai quando vi erano presenze ecclesiastiche; per il che tornato la mattina del sabato seguente da sua madre a ora competente dissi esser pronto per la mia parte a consolare suo figliolo, e di più io medesimo andai a cercare le persone che lo portarono alla Chiesa tra quali avendo comunicato questo fatto al sig. Carlo Pacchiani, che si ritrovava nella mia Chiesa, volle venire anche lui a fare la carità, e così con lui chiamai Michele di Domenico Guarnieri con l’occasione che veniva alla messa, Gio Paolo dall’Orto da Guardasone e Andrea Giacopini, con i quali v’era anche il sig. Orazio Pacchiani del sig. Carlo, i quali pigliandolo sopra certo artificio fatto a modo di scala, sopra il quale l’avevano pure portato dalla montagna a casa sua, lo pigliano alla meglio che potevano nel lenzuolo nel quale si trovava molto tempo fa, e volendolo mutare, la madre, non fu mai possibile, ed era vero, e vergognandosi che si portasse alla chiesa senza quelle pulitezze che le pareva necessario, perché era tanto il dolore che sentiva nel levarsi a boccone che solo figurandosi d’essere tocco ne sentiva grandissimo tormento, ne mise uno buono sopra e si portò in Chiesa”. Giunti dinnanzi alla Chiesa don Canossa chiese a Bernardino davanti a quale Madonna desiderava essere portato ed esso accennò a quello della Madonna della Concezione; esposto così dove desiderava si celebrò la messa, fu scoperta l’immagine della Madonna e, finita la messa, si recitarono anche le litanie, quindi si ricoprì la Madonna; ma Bernardino chiese che fosse di nuovo scoperta e lo chiese non più con cenni, come faceva prima, ma con la sua voce naturale e, parlando normalmente disse che era libero da ogni male e che perciò si dicesse a sua madre che andasse a pigliare le sue calze che se le voleva mettere da lui e andarsene poi a casa, e così avute dette calze, mi fece di nuovo istanza che facessi tutti uscire fuori di Chiesa, fuori che sua madre, e così usciti e serrata la porta si vestì da lui medesimo e poi si inginocchiò anzi la Madonna Santissima a renderli le dovute grazie per il male e oppressione dalle quali l’aveva liberato e dal quale era stato travagliato tanto tempo avanti e senza potersi muovere mai dal letto, sì come ho veduto io medesimo più e più volte, essendolo andato a visitare, come suo parroco, avendo così modo di constatare che per l’infermità non poteva parlare con lui se non per cenni e “muggiti”.
Don Caletti chiese quindi la tipologia del male di Bernardino, se naturale o fatture o malie.
Rispose don Canossa: “Ho sentito dire che erano fatture a varie persone ed in particolare me lo disse il sig. Rettore di Ciano, il quale veniva a leggergli sopra, e ciò io lo credo perché di quando in quando li venivan portare invisibilmente, e senza potersi sapere da chi certe robbe sopra la faccia, come tella straccie capestri al collo et altre simili cose mostratemi più volte da suo padre c’altro certamente non erano che fatture, come anche intesi dal Barbiere di San Polo, cioè dal sig. Domenico Rubertelli, che il suo male non era naturale, e benché dal mezzo in giù di sua vita non si potesse toccare né anche leggermente untandolo con una penna con gli olii che suo padre aveva avuti dagli esorcisti”.
Viene quindi chiesto se Bernardino si confessava e comunicava.
Avanti il suddetto male si confessava ma non si comunicava per non aver più che dodici anni o poco più, ma dopo la grazia ottenuta dalla Beata Vergine s’è confessato e comunicato. Il sacerdote terminò dicendo che quello che ha raccontato è tutto ciò che sa e che già aveva messo per iscritto in una lettera inviata allo stesso don Caletti; aggiungendo che le stesse cose le potevano narrare col giuramento tutti quelli che abitano nel borgo di Traversetolo.
Interrogato di seguito il padre di Bernardino, Tomaso Angeli, questi ripete con fedeltà i fatti già narrati dal figlio e da don Canossa, aggiungendo particolari sulla malattia del figlio:
“Per quello che mi è stato significato dal Sig. Don Francesco Campanini rettore di San Martino al quale ce lo condussi perché li leggesse sopra e a questo fine ve lo lasciai quindici giorni, dal sig. Rettore di Ciano e dal fratello del sig, Arciprete di Corniglio tutti reverendi esorcisti, come anche l’arciprete di Beduzzo al quale feci vedere così per amicizia, mi dissero che erano fatture e quello di San Martino cioè il sig. don Francesco Campanini mi disse che era uno spirito muto e io lo credo perché non ha mai potuto parlare con religiosi quando vi venivano a vederlo, fuori che una volta il sig. don Bartolomeo Capponi se non fosse stato per essere lui del santo officio”.
Riguardo poi se ritenesse che il figlio fosse stato ammaliato o fatturato risponde che dal 24 marzo, festa della SS. Annunciazione si erano susseguiti strani episodi: dapprima comparvero sul volto e corpo del figlio delle pezzole legate e piegate strette, poi dei fili posati in forma di croce o altro e, tutte le volte che si levavano e si distoglieva lo sguardo anche per un attimo, subito ricomparivano. Così come non si poteva capire da chi fossero messi certi stracci o bende, come quelle usate dai barbieri per curare le ferite, attorcigliate ad anello e posate sopra gli occhi, oppure dei fagottini o gomitoli posti sulle reni o sull’ombelico e sul collo all’altezza della gola, e ancora delle ossa di carne salata ancora umidi come se fossero stati appena scarnati, poi corde intorno al collo come capestri che lo avrebbero soffocato se non fosse stato soccorso da lui stesso e da altri del paese. Conferma poi che il medico di Montecchio, gli aveva detto che Bernardino aveva bisogno di medicine spirituali e di essere raccomandato a Dio benedetto, lo stesso l’aveva ribadito Domenico Rubertelli barbiere e chirurgo di San Polo, uomo vecchio e isperimentato nell’arte.
Alla testimonianza di Tomaso de Angelis seguono, nel mese di luglio, quelle della moglie Maria, di Carlo Pacchiani del fu Claudio, e di suo figlio Orazio. Quest’ultimo, ripetendo come gli altri la stessa versione di Bernardino, afferma di conoscere bene Bernardino perché molte volte andavo nella bottega di suo padre così a trattenermi e passare il tempo ragionando delle cose del mondo come si fa e lo aveva visitato alcune volte nel corso della malattia. Egli è certo che Bernardino fosse vittima di fatture perché lui stesso diceva che a mettere fili, lacci o altro era la Vincenza sua vicina, o, alle volte una donna di montagna.
In qualità di testimone è quindi ascoltata Barbara, vedova di Donnino da Fano, che ha accudito Bernardino nei momenti di assenza del padre; poi, a seguire, vengono interrogati Michele Guarnieri del fu Domenico e Lorenzo Falaschi del fu. Gio Giacomo. Tutti confermano quanto la stessa visione dei fatti essendo stati testimoni diretti. Lorenzo Falaschi narra anche un episodio di cui è stato partecipe: “un giorno ritrovandomi sotto il portico di Traversetolo tra la sua casa (di Bernardino) e quella di messer Francesco Guarnieri e sentendolo gridare che pareva si affocasse, subito corsi in casa e lo trovai nel letto con un capestro al collo strettissimo ch’era d’una corda tutta unta d’olio o grasso che fosse, grossa come il mio dito piccolo della mano, e l’avevano rivolto il capo di detta corda nel detto capestro due o tre volte, ma stretto, che con gran fatica lo potei togliere, e levato che io l’ebbi, viddi nel mezzo della camera una schiappa di legna (scheggia lunga di legno) e dissi chi aveva portata la detta schiappa e esso mi rispose che l’aveva fatta mettere da capo al letto appresso di lui perché se venivano dette streghe da darli e cacciarle via, ma essendo venute in due, una di loro le mise il capestro e l’altra portò via la legna”.
Episodio analogo è poi narrato da un successivo teste: Giovanni Antonio di Viapiana del fu Pietro Giovanni anch’gli residente in borgata a Traversetolo. Alla domanda se sa se Bernardino è stato ammalato a letto e da quanto tempo, Giovanni Antonio risponde: “Che è stato male Iddio lo sa e doppo Iddio non credo nessuno sia informato del suo male più di quello che sono io perché quasi in tutto l’occorrenza del suo male vi ci sono andato io e nessuno di quel ragazzo ha veduto quello che ho veduto io, il suo male era che non si poteva muovere della sua vita dal mezzo in giù tanto come se fosse stato morto e a toccarlo solo con una penna di gallina legiermente in occasione di applicarli qualche unzione gridava misericordia […] una volta che suo padre era andato a messa, dalla mia bottega – è sempre Giovanni Antonio a narrare l’ho sentito gridare e sono corso; ma il padre, che era a messa, aveva chiuso con la chiave e così corsi a chiamarlo e venne correndo con me perché le streghe volevano soffocare suo figlio. E così entrammo in casa e lo trovammo quasi morto strangolato: aveva al collo un lacciolo, ovvero capestro da strozzino di canapa, volendolo tagliare, non si poteva tanto ea stretto … Tolto cominciò a parlare e domandandogli chi era stato disse che erano state due donne le quali poi erano andate su per il camino; e io posso dire di avergli tolto tantissimi fili e corde dal viso e corpo. Una sera la Barbara da Fano, che lo accudiva per volontà del padre, quando era assente, mi chiese se potevo stare con Bernardino intanto che lei andava a dar da mangiare ai suoi bachi da seta, io risposi di sì, molto volentieri e, rimasto solo, cominciai a camminare per la casa recitando la Corona; toccando una volta o due le mani di Bernardino con la Corona, quello tramortiva e, in un medesimo tempo, vidi che cominciò a muoversi da se stesso e vidi, ben fatto, un segno nell’acqua santa che era vicina al letto e un ramo d’ulivo, sempre lì accanto, cominciò a piegarsi così come fece una piccola accetta che pareva da sola muoversi, e mentre suonava l’Ave Maria Bernardino faceva cenno che guardassi e poi dopo la fine del suono delle campane mi disse di aver visto il diavolo.
Il processo-interrogatorio ha termine il 22 luglio. L’ultimo testimone fu il sig. Domenico de Rubertelli del fu Aurelio chirurgo pubblico (ossia barbiere e cerusico) di San Polo d’Enza, di anni settanta e con molte esperienze alle spalle. Egli dichiarò di aver più volte visitato Bernardino un ragazzo di 13 anni e aveva un male grandissimo che nella mia età ed esperienza non ho mai visto e non era di causa naturale ma di fatture diaboliche che solo Iddio o la Madonna lo potevano liberare.
Al processo non c’è seguito, ufficialmente la guarigione non venne considerata miracolosa. Continuò ad essere ritenuta tale, però, dalla gente del paese e da mastro Tommaso, padre di Bernardino, che risulta iscritto alla Confraternita della Beata Vergine della Concezione di Traversetolo e particolarmente partecipe alla vita e attività della Chiesa: sarà tra i fautori della ristrutturazione della Chiesa parrocchiale nel 1669. Dieci anni dopo il fatto, ritroviamo Bernardino sposato con Caterina e con una figlia: Margherita.
Quella di Bernardino era una famiglia molto benestante, proveniente da Milano e che rimase per lunghi anni a Traversetolo.