Le esequie nella tradizione

Fino ad alcuni decenni fa era consuetudine tenere la salma all’interno delle mura domestiche; era infatti desiderio dei più morire nella propria casa. Molto spesso gli ammalati gravi, anche se ricoverati in ospedale, esprimevano il desiderio estremo di tornare alla propria abitazione, ricevere l’estrema unzione dal proprio sacerdote, lasciando le disposizioni per il funerale.

Anche se attualmente numerosi sono i decessi in ospedale, dove la salma rimane fino al funerale, e se la “Sala del Commiato” ha sostituito le mura domestiche, la tradizione di decidere delle proprie esequie, documentata per il nostro paese, fin dal 1500, è tuttora rispettata: ognuno può chiedere d’essere sepolto nel luogo e secondo le modalità che preferisce.

Un tempo, nel nostro paese, essendo la totalità degli abitanti cristiana, la sepoltura doveva essere in terreno consacrato: anticamente il sacrato circostante la chiesa, quindi, dopo le disposizioni napoleoniche ottocentesche, in luoghi lontani dall’abitato: i cimiteri.

Nel nostro comune l’obbligatorietà di avere un cimitero fu trascinata a lungo e attuata solo alla metà dell’’800, per le frazioni anche oltre; all’interno dei nuovi cimiteri era anche uno spazio isolato, non consacrato, per la sepoltura di atei o professanti altre religioni.

Quando il defunto rimaneva tra le mura domestiche, si allestiva una stanza per l’esposizione del cadavere affinché la comunità potesse visitarlo per l’estremo saluto, portando il proprio conforto ai familiari.

Anticamente l’esposizione vedeva il cadavere adagiato su di un letto dove stava non più di due giorni: il tempo per le visite e le veglie diurne e notturne con recita di due rosari serali: nel giorno della morte e nel seguente, con la presenza del sacerdote e della comunità.

Il tempo dell’esposizione è sempre stato variabile: in epoche di epidemie, il cadavere veniva sepolto immediatamente, previa benedizione, se possibile; nella normalità, nel corso del 1700/1800, ed anche per il ‘900, come si evince dai registri parrocchiali, dalla morte alla sepoltura trascorreva un giorno soltanto: se il decesso avveniva il lunedì, la sepoltura era il mercoledì; ma non mancano i casi in cui si procedeva alla sepoltura il giorno successivo alla morte.

Prima di dare inizio al funerale vi era l’atto pietoso di commiato: la deposizione del defunto nella bara, momento accompagnato da preghiere e benedizione, quindi il trasporto della bara sul carro funebre. Subito dopo prendeva forma il corteo funebre che accompagnava la salma dalla casa alla chiesa. Apriva il corteo la Croce portata da un chierichetto, poi il sacerdote, quindi il feretro seguito dai familiari e il popolo ordinatamente disposto su due file parallele.

Nella chiesa, dopo l’entrata del sacerdote, si disponeva il feretro sul catafalco per procedere poi alla celebrazione delle esequie; al termine si riformava il corteo per la processione al cimitero.

Accompagnava la funzione il suono delle campane: il tocco, come si diceva “della campana del morto”, suonava il giorno della dipartita per annunciare alla comunità il triste evento; risuonava poi per annunciare che il feretro lasciava la casa per raggiungere la chiesa, suonando ancora a intervalli regolari fino all’entrata. Il suono riprendeva a fine funzione per accompagnare l’uscita. Mentre il corteo prendeva forma e si avviava al cimitero, le campane sonavano a festa: l’annuncio dell’inizio della vita eterna.

Il corteo funebre per il cimitero, secondo la tradizione, prevede in apertura la Croce portata da un chierichetto, quindi il sacerdote con altri chierichetti a seguito; segue il carro funebre dietro al quale sono i familiari disposti in ordine: i congiunti prima, quindi i parenti affiancati; il popolo dei partecipanti procedeva di seguito distribuito su due file incolonnate, parallele e distanziate tra loro.

Se il defunto era una donna, nel corteo le donne precedevano gli uomini, se il defunto era un uomo si scambiavano le disposizioni. Si camminava così ordinatamente e lentamente, recitando il rosario, fino al cimitero presso il luogo di sepoltura che veniva benedetto prima dell’inumazione.

Se tutti i funerali seguivano la successione della prassi descritta, è altrettanto vero che non tutti i funerali erano uguali. La condizione sociale o le volontà stesse del defunto, potevano portare modifiche. Sfogliando i registri dei defunti o delle messe esequiali si possono leggere testimonianze sorprendenti come la presenza di 12, 28, 32 e anche più sacerdoti e altrettanti accoliti, tutti remunerati e, alle volte anche con pranzo compreso. In questi casi, tutta la schiera dei sacerdoti precedeva il feretro.

Nel tempo in cui anche nel nostro paese erano presenti le Confraternite, alcune sopravvissute fino agli inizi del ‘900, e nel caso il defunto fosse appartenuto ad una di esse, i Confratelli, con cappe e simboli, precedevano il corteo distribuiti in due file ordinate.

Anche il carro funebre non era sempre lo stesso, da un semplice carro trainato da un cavallo, si poteva passare ad un carro funebre coperto e con decori, trainato da due o quattro cavalli. Nella seconda metà dell’Ottocento, quando anche in Traversetolo prese a funzionare una banda musicale, molti funerali si svolgevano con l’accompagnamento del cupo suono bandistico che si intervallava alle preghiere: in questo caso era la banda a precedere il sacerdote e il feretro.

La “spettacolarità” popolare, se così si può definire, del funerale è sempre dipesa dalla condizione sociale del defunto e dalle volontà dello stesso.

Portiamo alcuni esempi significativi:

nel 1791, il 21 di marzo, moriva in Traversetolo un autorevole militare, il sig. Rinaldo Ferrari della Torre, padre di colui che pochi anni dopo sarebbe divenuto il primo sindaco (Maire, per il dominio francese dell’epoca) del Paese. Nel tempo dell’agonia e per l’estrema unzione, erano al suo capezzale tre sacerdoti.

Il funerale si celebrò il giorno 23, erano presenti 24 sacerdoti e 7 chierici, 80 Confratelli con le loro cappe ed una quantità di popolo incalcolabile. Ai poveri venne distribuita l’elemosina secondo la gravità delle singole situazioni. Dodici torce accese illuminavano il luogo dando risalto al rituale compiuto dai sacerdoti. Il corteo con funebre magnificenza lasciò l’abitazione, sita in Monzato, per raggiungere la chiesa parrocchiale: una lunghissima processione ordinata, mesta ed orante.

28 sacerdoti celebrarono il rito: messa cantata e orazioni a suffragio pronunciate singolarmente da ogni sacerdote, quindi la sepoltura all’interno della chiesa tra la sagrestia e la cappella della Vergine della Concezione. Alla sera vennero celebrate altre due funzioni a suffragio.

I parroci e i chierici, secondo le volontà del defunto e perfettamente rispettate dai figli, compensarono generosamente i sacerdoti e i chierici ed offrirono una ingente quantità di cera per le funzioni celebrate e per la chiesa.

Nel tempo successivo vennero ripetute le messe a suffragio dopo tre, sette e trenta giorni dalla morte, e poi a ogni anniversario annuale.

La spiegazione di tali ricorrenze va cercata nella Bibbia: Gesù è risorto dopo tre giorni; Giuseppe indisse un lutto di sette giorni per la morte del padre Giacobbe (Genesi 50, 10); Aronne e Mosè furono pianti dal popolo per trenta giorni (Numeri 20,30; Deuteronomio 34,8). La Messa annuale nell'anniversario della morte, invece, è per il cristiano il ricordo del dies natalis, il giorno della nascita al Cielo.

Del tutto diverso un funerale celebrato a Bannone il 27 giugno 1822 che comportò una denuncia nei confronti del sacerdote. Il parroco infatti aveva fatto trasportare in chiesa il cadavere di certa Corradini Maria, senza cassa chiusa né in bara con coperchio e seppellito così, in chiesa, il cadavere, contravvenendo al regolamento della sepoltura in cimitero.

Ma più imbarazzante fu il funerale, del 19 agosto 1881 di Caterina Bertozzi nella parrocchiale di Torre, così raccontato da un testimone, il sig. Giacomo Corradi:

Finita l’ufficiatura in Chiesa si fece il trasporto della defunta al Cimitero (o Sagrato), ultimate totalmente colà le ultime cerimonie funebri, veggo che il becchino estrae il cadavere dal Baulle e lo mette nella cassa; ma quest’operazione ormai al dì d’oggi ripugna e credo sia contro l’igiene pubblica; quello che poi fu peggio “il rendere ostensibile a tutti i presenti tutto ciò che per vergogna si dovrebbe tenere coperto” a tutti è ripugnato il vedere tale scandalo.
Chiesto il perché, mi fu risposto, perché la fabbrica non ha una Bara per mettervi la cassa e perciò mettesi il cadavere nel Baulle e poi dal medesimo si estrae in pubblico e si colloca in cassa pel seppellimento.

Non possiamo dimenticare poi il funerale di Suor Maria Saint Ange, sepolta nel nostro cimitero nel 1927. Donna di grande pietà e carità, prestava il suo lavoro in cucina; le educande e le consorelle dicevano che gli Angeli scendessero dal cielo per aiutarla tanto era sublime ciò che preparava.

Quando sentì avvicinarsi la morte, chiese in umiltà di non essere portata al cimitero con la carrozza trainata dai cavalli, come si faceva ormai da tempo, ma portata a spalla come tutti i poveri, secondo l’usanza tradizionale. Giudicando che meritasse ben altro, i responsabili disposero per il trasporto con la carrozza. Ma giunti davanti alla porta delle Suore i cavalli si impennarono e non vi fu verso di farli avanzare. Allora si affidò alla buona volontà degli uomini presenti al corteo il trasporto a spalla della bara e, certamente, suor Maria Saint Ange arrivò soddisfatta all’estrema dimora.

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Uno dei riti funebri più partecipati del ‘900, documentato con immagini, è quello di Mons. Mario Affolti, scomparso il 20 giugno del 1978.
Foto 1: Un’innumerevole folla di parrocchiani all’uscita della chiesa, mentre il feretro viene portato a spalle lungo le vie del centro per raggiungere il cimitero del capoluogo. Precede la processione Don Enzo Salati e Don Giovanni Bocchi.
Foto 2: Esequie di Mons. Affolti. Da sinistra: Mons. Evasio Scaffardi, Mons. Nando Soncini, Don Tullio Folezzani, Don Erasmo Benassi, celebrante ill Vescovo Mons. Amilcare Pasini, Mons. Argo Cavazzini, Don Giovanni Bocchi, Mons. Giacomo Zarotti.





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