Leggiamo le nostre Chiese
Affisse alla parete esterna della Chiesa di Bannone, tra le altre lapidi a ricordo di defunti del luogo, ce ne sono due dedicate alla memoria di due sacerdoti discendenti dalla stessa famiglia: Don Silvestro Pedretti e Don Luigi Pedretti.
PREGATE PER L’ANIMA |
LUIGI PEDRETTI |
Alcune note curiose, riguardanti i due sacerdoti e la stessa loro famiglia, sono raccontate da Don Coruzzi, parroco di Bannone, nella sua Cronaca puntualmente aggiornata dal 1907 fino all’epoca della sua morte, il 5 aprile 1949.
“… Altro episodio, esilarante questo, riguarda il successore immediato di Don Giovanni Orsini, e cioè Don Silvestro Pedretti. Costui era nativo di Colesino in Toscana ed era venuto a stabilirsi in Bannone in casa di certo capitano Flaminio Pizzati, che teneva oratorio in casa per essere impotente per malattia di Gotta e vi era assunto in qualità di cappellano di famiglia il Don Silvestro Pedretti che probabilmente fungeva anche da cappellano parrocchiale dato che questa Chiesa oltre il parroco ha sempre avuto anche il cappellano e in quel tempo non è dato sapere chi tenesse questo ufficio. Il fatto è che il Don Silvestro Pedretti godeva le simpatie e la fiducia del capitano Flaminio Pizzati che lo aveva fatto proprio amministratore. Avvenuta la morte del Priore Orsini, fu bandito il concorso al quale per volontà del Pizzati prese parte il Don Silvestro Pedretti. Questi vinse il concorso e fu nominato Priore di Bannone. Immesso regolarmente nel possesso del Beneficio prese a farlo coltivare da buon agricoltore (era intenditore di agricoltura) e soprattutto da bravo viticultore. E siccome gli abitanti di questa plaga erano molto arretrati nella agricoltura e nella viticoltura, fu il Don Pedretti col suo esempio a portare un po’ di sviluppo. E siccome da qualche tempo serpeggiava la Crittogama che mandava a male la produzione delle viti, il Don Silvestro Pedretti fu il primo ad introdurre da queste parti la cura con lo zolfo. Le difficoltà che ebbe ad incontrare per fare adottare questa pratica furono molte e molto tenaci. Basti dire che qui non potè trovare operai che si volessero adattare a zolforare le viti, adducendo tutti la ragione che lo zolfo è un veleno e che i Signori l’applicavano alle viti per far morire i poveri. Come si vede, fin da allora la diffidenza dei poveri verso i ricchi era in voga, segno che neppure i ricchi di quel tempo facevano buon uso delle ricchezze e Iddio alienava da loro il cuore dei poveri fino ad arrivare all’odio feroce del giorno nostro fra le due classi.
Il Don Pedretti, visto di non poter compiere l’operazione con operai del luogo, fece venire operai dalla Toscana con il risultato che Egli ebbe un copioso e splendido raccolto d’uva, mentre i parrocchiani si dovevano accontentare di nulla raccogliere dalle proprie viti. E siccome l’ignoranza del popolo era anche mista ad invidia e rancore, non mancavano stolti che si azzardavano dare buoni pareri, dicevano essi, al loro Priore e cioè ammettere di dare quella polvere velenosa alle viti che non avrebbe tardato a far tornare il Colera Morbus, o qualche altra epidemia. Il buon Priore compatendo l’ignoranza di quella gente, argomentava di illuminarli come poteva, e poiché erano gente molto attaccata alla fede, si valeva di questa per renderli persuasi del loro errare. Vedete, diceva loro, lo zolfo è creato da Dio per vantaggio e a servizio dell’uomo, come tutte le altre cose, tutto sta che l’uomo sappia approfittarne e farne le opportune applicazioni. ora uomini eminenti della scienza hanno insegnato che lo zolfo è una medicina efficace contro la malattia dell’uva, l’hanno applicata, l’effetto è stato meraviglioso e dalle mie parti in Toscana tutti indistintamente l’usano e fanno buone raccolte d’uva. Voi invece ostinandovi a non voler far uso di una medicina che Iddio ha posto a vostra disposizione per curare l’uva, commettete un delitto contro l’umanità che per quanto è da voi, la private di tanto prezioso alimento qual è il vino; commettete un delitto contro la Divina Provvidenza che vi ha dato a disposizione il prezioso frutto, e se questo ammala per cause indipendenti dalla vostra volontà, non vi ribellate e volete ad ogni costo lasciarlo perire. Il ragionamento rese perplessi quegli avvocati da sagrato, qualcuno volle tentare la prova e vistone l’effetto l’adottò definitivamente e così tutti gli altri. Da questo fatto si arguisce e tutti l’asseriscono e questa opinione è passata di padre in figlio che a quei tempi in Bannone vi era una popolazione molto ignorante e veramente ha continuato per molto tempo a conservarsi tale. E ciò per essere privo questo villaggio di strade di comunicazione e per essere sempre stato trascurato dalla Amministrazione. Comunale che non lo ha provvisto di scuola fino a tanto che proprio non ha potuto a meno costrettovi dalle leggi generali sulla Istruzione Pubblica obbligatoria. Il Don Silvestro Pedretti fu uomo di dottrina, di buoni costumi, zelante ed anche benvoluto dai parrocchiani. Ebbe a chiamare seco tutta la sua famigia fra cui un fratello con diversi figli dei quali due sacerdoti, uno di nome Don Luigi e l’altro di nome Don Agrippino. Il Don Luigi assunse la carica di cappellano di Bannone e di Maestro Comunale nel paese di Traversetolo. Era uomo d’ingegno, studioso, si dilettava di letteratura e di poesia, ma purtroppo anche di vino dal quale si lasciava prendere con certa frequenza. Venerava e temeva lo zio Don Silvestro ed era prodigo con tutti. Quelli che lo hanno conosciuto, e ve ne sono ancora, dicono per esprimere la di lui prodigalità, che aveva le mani buche. Non ebbe lunga vita e precedette nel sepolcro lo zio Don Silvestro. A lui successe come cappellano di Bannone il fratello Don Agrippino che sopravvisse allo zio don Silvestro. …”