La nuova “Via Crucis” della Cattedrale di Bengasi

Le quattordici stazioni della Via Crucis, opera di Pietro Carnerini, appartengono alla Parrocchia di Traversetolo per donazione del sig. Giovanni Marieni Saredo che le ha conservate nel tempo tra le memorie della propria famiglia.

La mancanza di una diretta testimonianza sul quando e come Pietro Carnerini abbia realizzato la Via Crucis di Bengasi, lascia un vuoto colmato in parte e unicamente da tre diverse pubblicazioni.

La prima è un articolo de L’Osservatore Romano del 17 marzo 1934, riferito alla nuova cattedrale di Bengasi, in cui si legge: “A questa nuova chiesa monumentale han dato la loro opera il Carpi per le vetrate ed il Saponaro per due bassorilievi di santi posti sulla facciata. Il Carnerini poi vi scolpì in marmo carrarese dai toni caldi le formelle della Via Crucis che, tra le opere consimili di arte sacra moderne, si fanno notare per la dignità dell’espressione e per la composizione, sempre studiata e pur non sforzata.

A questa Via Crucis, poi, il Carnerini, come artista ormai adusato a lavori d’arte sacra missionaria (egli ha lavorato a lungo in Somalia), ha voluto aggiungere un richiamo alla vita del luogo, ritraendo dal vero alcuni tipi caratteristici dei vari popoli che vivono ancor oggi in Cirenaica, come duemil’anni or sono vivevano in Palestina: e questo benché già sia stato fatto nei secoli scorsi dai maestri italiani, ha ora giù in Africa un sapore tutto nuovo, che non guasta affatto; anzi tutt’altro”.

L’articolo è corredato da alcune immagini della cattedrale e da una formella della Via Crucis visibilmente non in marmo.

Il secondo articolo compare nel 1935, nella rivista L’Illustrazione Vaticana, col titolo: “La nuova “Via Crucis” della Cattedrale di Bengasi”.
Il testo, dopo un’ampia descrizione del vissuto in Somalia di Pietro Carnerini, riporta: “Comunque, quando il lavoro di Mogadiscio fu finito, tanto per non lasciare l’Africa, il Carnerini andò a Bengasi, e lì anche cominciò a lavorare in grande.

Proprio allora, nell’estate del 1932, stava sorgendo a specchio del mare di Bengasi, sul candido lungomare della Vittoria, la mole fulva della nuovissima cattedrale […] Al Carnerini fu così affidato il compito di scolpire le formelle della Via Crucis […] Il Carnerini, quindi, s’è trovato in condizioni non facili, quando ha dovuto scolpire sulle grosse formelle (cm 85X75) di marmo carrarese eburneo le sue “stazioni”. La tecnica scultorica l’obbligava a sintetizzare figure, volumi e piani; la necessità didascalica gli imponeva, per contro, di esser facile ed agevole alla comprensione d’ognuno, nella espressione artistica”.

Il testo, che prosegue con una dettagliata descrizione del lavoro di Carnerini, presenta alcune incongruenze: la prima è il trasferimento diretto di Carnerini da Mogadiscio a Bengasi: Carnerini dopo i lavori alla cattedrale di Mogadiscio rientra in Italia dove rimane certamente fino al 1932; la seconda è in riferimento all’esecuzione della Via Crucis. Nell’estate del 1932 la Cattedrale era già costruita (la prima messa viene celebrata il 6 dicembre del 1931), e la sua inaugurazione ufficiale avviene il 28 ottobre 1932 quando la Via Crucis è già collocata all’interno.

Nel maggio del 1932 Pietro Carnerini è ancora a Roma da dove informa la famiglia di un suo probabile ritorno in Africa; ma non accenna ad alcuna destinazione né conferma in seguito la sua partenza. Se al Carnerini venne affidato il compito di eseguire la Via Crucis nell’estate del ’32, ed è già finita per l’ottobre dello stesso anno, non è possibile sia stata scolpita in marmo, ma sicuramente modellata in gesso, come d'altronde mostrano le fotografie a corredo dello stesso articolo del Lazzarini.

Che la Via Crucis fosse in marmo bianco di Carrara è pure riportato nel terzo articolo, quello di P. Callisto Pesce in Cirenaica cristiana7 ma anche in questo testo le formelle riprodotte in fotografia, pag. 43, sono le stesse già proposte nei precedenti articoli ed il materiale non è marmo.
L’affermazione che la Via Crucis fosse in marmo appare come notizia riportata ma non verificata. Lo stesso accadeva anche per le opere di Mogadiscio nella cui descrizione, in diversi saggi, si ripete: il Prof. Pietro Carnerini ha scolpito per la Cattedrale di Mogadiscio …; e ancora […] Gli valsero l’incarico di ornare convenientemente la Cattedrale di Mogadiscio con gruppi di sculture marmoree. Ma in realtà come già confermato da C. Luperini e da Franco Monile, quest’ultimo nel suo viaggio in Somalia incontra personalmente il Carnerini mentre lavora, si tratta di opere in gesso variamente trattato, ma comunque sempre in materia plastica e non marmo.

Scrive infatti Franco Monile: “Dentro al modesto atelier improvvisato, con materiale di improvvisazione e suppellettile locale, sono stati plasmati i begli altorilievi che il Governatore Corni ha voluto che vadano ad abbellire lì di fronte la severa cattedrale: una grande lunetta destinata a sovrastare l’ancona del coro e due minori per le navate”

E così dovrebbe essere per Bengasi anche se nella lettera ai familiari del 26 novembre 1934 Pietro scrive: “a parte vi ho mandato una serie di fotografie di una grande Via Crucis che ho scolpito in marmo per la Cattedrale di Bengasi …”, ma le fotografie allegate presentano l’opera visibilmente non in marmo.

Il 6 dicembre sempre dello stesso anno, in altra lettera si legge “Sento la mia Via Crucis piace molto segno che è qualche cosa di buono anche se non come vorrei io”; probabilmente in riferimento al fatto della non avvenuta fusione in bronzo delle stazioni come Pietro forse sperava. E in effetti su alcune formelle compaiono evidenti segni di una fase preparatoria per la fusione.

Nel 1935, il 16 marzo, nell’annunciare alla famiglia l’invio della rivista Arte Sacra, aggiunge che vi sono pubblicate le fotografie della mia Via Crucis che ho eseguito per Bengasi …; lasciando supporre che l’esecuzione sia avvenuta non a Bengasi ma in altro luogo, probabilmente a Roma dove risiedeva. Le foto pubblicate dalla rivista sono sempre le stesse già in precedenza inviate alla famiglia.

In tutta la numerosissima produzione artistica lasciata da Pietro Carnerini non vi è alcuna opera conosciuta in marmo. La materia privilegiata dall’artista era il gesso per poi ottenerne, in molti casi, la fusione in bronzo.

Resta insoluto il fatto di come questa Via Crucis che fino all’inizio del 1941 era certamente a Bengasi, sia poi tornata in Italia. Le ipotesi potrebbero essere diverse. Nel 1941 Bengasi, assediata dai britannici, secondo la testimonianza di un soldato italiano, Pietro De Cian, appariva così:

“Appena a terra si fece pochi passi per arrivare in una piazza dove poco spazio era libero dalle macerie: provai una fitta al cuore guardando tutte quelle rovine una vera desolazione in pochi amici approfittammo di quelle due ore che separava la partenza per visitare la città era completamente spogliata di vite umane non una casa risparmiata dei colpi devastatori anche la cattedrale benché si reggesse ancora in piedi portava le sue ferite aperte; all’entrata maggiore la porta non c’era più ma era tutto aperto da un foro prodotto da un’esplosione. Dentro completamente deserta e spoglia solo poche statue venivano risparmiate, sopra l’altare maggiore una spaccatura lasciava entrare il sole”

Ed in effetti, da altra testimonianza la guerra che nel triennio 1940-42 ebbe come teatro anche la Libia (in Cirenaica c’erano allora ventimila connazionali) sconvolse anche la Missione. Rimpatriati questi e diversi missionari e missionarie, il vicariato apostolico di Bengasi e il prefetto apostolico di Derna organizzarono le cose come la circostanza suggeriva. È probabile che nel rimpatrio parte del patrimonio artistico trasportabile fosse stato messo in salvo riportandolo in Italia; la cattedrale di Bengasi appare nelle fotografie del dopoguerra completamente spoglia. Ma non è da trascurare neppure l’ipotesi che la Via Crucis fosse rientrata in Italia, dopo il 1941, per ottenerne una fusione in bronzo.

Stando all’oggi, le quattordici stazioni della Via Crucis, corrispondenti perfettamente alle riproduzioni fotografiche di Bengasi, è in Traversetolo grazie alla famiglia Marieni Saredo presso cui, una volta tornata l’opera in Italia, venne conservata per donazione dello stesso Carnerini che già dal 1932 aveva mantenuto legami con la famiglia.

Che l’opera non fosse più a Bengasi, e che presso la missione francescana non se ne avesse memoria è confermato da un documento del 1958, conservato dai Padri Francescani di Genova presenti a Bengasi dai primi anni del ‘900: “Molto Rev.do e caro P. Provinciale Ieri ho potuto sdogare e portare in Cattedrale le due stazioni della Via Crucis, grazie a Dio, in buon stato. Il lavoro è di pieno nostro gradimento, lo scultore Battaglini ha lavorato da vero artista. A nome di S. E. Mons. Vescovo e dei missionari tutti esprimo la nostra profonda gratitudine e riconoscenza a codesta Procura delle Missioni per il gran bel dono, che eternerà la presenza della Provincia Francescana Ligure nella nostra magnifica Cattedrale, da tutti magnificata come il più grande monumento religioso dell’Africa Settentrionale. Appena le due stazioni saranno collocate al loro posto, mi farò dovere di inviare la desiderata foto allo scultore ed a codesta Procura delle Missioni.

Se la provvidenza ci verrà incontro, si pensa di rifare il pavimento in marmo distrutto dalla guerra”

Lo scultore ricordato nel testo è probabilmente Umbro Battaglini che già tra il 1956 e 1957 aveva eseguito le tre porte in rame e bronzo per il duomo di Bastia Umbra, installate nel 1958.

Negli anni ‘50 la Cattedrale, dopo gli ingenti danni causati dal secondo conflitto mondiale, venne restaurata sempre per l’impegno dei Frati Francescani di Genova, Nel 1961, la Cattedrale del Vicariato Apostolico di Bengasi tenuta dai Frati Francescani, era ancora attiva; in seguito alle rivolte successive, l’edificio, dopo aver ospitato una Scuola Coranica e quindi il quartiere generale dell’Unione Socialista Araba, è caduto in disuso; dal 2009 pare sia stato sottoposto all’opera di restauro di una Società Italiana.

Il vicariato apostolico di Bengasi è attualmente una sede della Chiesa cattolica in Libia soggetta alla Santa Sede.





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